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martedì 16 agosto 2016

Abbiamo visitato la meravigliosa e stupefacente mostra su Escher a Palazzo Reale a Milano


Siamo stati, i bimbi ed io, a visitare la mostra su Escher a Milano, al Palazzo Reale. In realtà la stessa mostra l'avevo vista circa un anno fa, a Bologna, dove mi ero recata per un convegno, e, approfittando dell'essere arrivata il pomeriggio prima, avevo colto l'occasione di girare a piedi per la bellissima città emiliana e per vedere questa meravigliosa mostra.

Proprio perchè l'avevo già vista, e conoscendo le opere del maestro olandese, pensavo che i bimbi sarebbero rimasti affascinati, colpiti dalle sue architetture impossibili, e così è stato.

La mostra è strutturata secondo una formula innovativa: riunisce in sè tre approcci tipici delle mostre: è contemporaneamente una rassegna di opere, e in quanto tale racconta il percorso creativo dell’artista, il suo sviluppo artistico a contatto con un’epoca in continua evoluzione; ma è anche una rassegna iconologica e iconografica, che documenta lo sviluppo di un’immagine, del rapporto fra un’opera precedente e una seguente, dello sviluppo continuo delle teorie e dei teoremi matematici ai quali Escher si richiama continuamente per la riflessione sulle sue incisioni, e delle tracce che di essi si trovano prima in un’opera per poi venire poi sviluppati ulteriormente in quella seguente, fino a pervenire al capolavoro assoluto, Metamorfosi, che riunisce tutti i passaggi in sè, tutto il percorso di idee e il loro trasformarsi in immagine nel corso degli anni di vita e lavoro di Escher. Infine, è anche una mostra di tipo biografico, che vede come protagonista l’artista e i suoi riferimenti storici, artistici e matematici.

Si tratta, dunque, di una mostra complessa, come complesso è l’insieme di problematiche presentate dal genio creativo di Escher. Ma questa complessità e questa atipicità della mostra non appartengono ai bambini, ai queli sono riservate anche delle audioguide ad hoc, con un percorso studiato per loro. Posto che, comunque, ognuno si soffermerà sull'opera che più lo affascina o che lo fa sognare. 

 
Le opere visibili al pubblico fanno parte di un’unica collezione, quella di Federico Giudiceandrea, studioso e appassionato di Escher, che è riuscito a trasformare la passione adolescenziale per questo genio creativo in una vera e incredibilmente ricca collezione di incisioni, affiancate da quelle di altri artisti con un percorso simile, come Piranesi con il suo Arco gotico, vera e propria architettura impossibile, e Luca Patella, che, partendo dall’insegnamento Duchamp, ha creato oggetti vicini alla creatività di Escher: in mostra The Wrong and the Right Bed. E chi non vorrebbe che i suoi sogni di bambino, che siano legati a un artista o al volo nello spazio o ad altre fantasie, si realizzassero? fortunato, e bravo, il collezionista!

Maurits Cornelis Escher (1898-1972) è sicuramente adatto anche ai più piccoli, perchè è un artista in grado di affascinare tutti, grandi e piccini, con le sue aberrazioni e costruzioni impossibili.
La mostra si apre con una prima sezione, La formazione: l’Italia e l’Art Nuveau. Ancora studente, Escher è affascinato dalla tassellazione delle opere Liberty, ma è anche molto influenzato dal paesaggio italiano, Paese dove vive a più riprese fra il 1921 e il 1935, e dove intesse rapporti con l’avanguardia futurista di Roma, con i suoi richiami ai simbolisti e ai divisionisti, condividendo molti viaggi con l’incisore svizzero Triverio, viaggi durante i quali produsse moltissime opere.
Molte opere presenti in questa sezione sono dedicate proprio al paesaggio italiano e allo studio dei multipli in essi presenti sotto forma di rocce con strutture particolari, ad esempio, o di elementi naturali di altro tipo. 
Diciamo che dal punto di vista del bambino, è una parte interessante, ma non particolarmente eccitante, non avendosi ancora traccia di quelle strane scale, di quelle trasformazioni fantasiose e incredibili che avvengono in quadri più tardi.
Alla fine del 1930 Escher torna a casa depresso e con un certo senso di sconfitta dai viaggi nell’Italia meridionale: non era riuscito a vendere le sue incisioni e soffriva sia fisicamente, sia economicamente. Metteva in dubbio le proprie capacità e si chiedeva se avrebbe dovuto continuare il proprio percorso come artista o se avrebbe piuttosto dovuto dedicarsi ad altra professione.  Ma lo storico dell’arte G.J. Hoogewerff, allora direttore dell'Istituto olandese di cultura di Roma, gli suggerì di comporre un Emblemata, un insieme di massime a sfondo morale che riprendono, da un lato, la tradizione dei proverbi fiamminghi e, dall'altro, quello dei motti latini del 1531 di Andrea Albiate ad Augusta in Germania, il Liber Emblematum, nel quale i motti in latino erano accostati a immagini. Ne venne fuori un insieme di epigrammi con motti latini di quattro righe illustrati da incisioni. Lo studioso, sotto lo pseudonimo di A.E. Drijfhout,  fornì molti degli epigrammi. Sotto il proprio nome, invece, fece profondi apprezzamenti in un articolo che scrisse per fornire a Escher l’incoraggiamento necessario a proseguire con il proprio lavoro artistico. Gli emblemata della collezione sono molti e sono tutti in mostra a Palazzo Reale: si tratta di incisioni in bianco e nero, per le quali Escher usò in realtà il solo inchiostro nero, creando l’illusione del grigio tramite il variare la larghezza e la vicinanza delle linee bianche, e creando stupende ombre e luci, come nel Dado e nella Candela. Alcune delle incisioni riportano motivi che verranno poi ripresi da Escher in creazioni future, e sono spesso motivi che, attraverso la scelta delle immagini stesse o delle parole, come nel Vaso di Fiori, smentiscono i motti latini riportati. In alcuni sono molto evidenti le relazioni con Balla e con il Futurismo: basta confrontare la mano del Violinista di Balla e Acciarino o Pietra Focaia di Escher, che è il decimo Emblemata, presente in mostra.
Pochi anni dopo, nel 1936, Escher visitò l’Alhambra, a Cordova, e quella visita rinnovò in lui l’interesse per la tassellatura, già manifestato ampiamente a seguito della sua formazione art nuveau, come testimoniato dalla presenza alla mostra di Flächenschmuck di Koloman Moser (1868 - 1918) pubblicata nel 1902, sorta di prontuario delle arti applicate, punto di riferimento per il movimento Art Nuveau europeo. Escher studiò con meticolosità le decorazioni moresche che caratterizzano lo straordinario edificio spagnolo.
Sempre attento agli stimoli culturali e visivi dell'epoca, Escher non si lascia sfuggire le suggestioni che provengono dalla conoscenze dell'arte incisoria giapponese: un'arte ormai nota all'Europa fin dalla metà del diciannovesimo, ma in terra olandese già dal seicento, epoca in cui i Paesi Bassi erano la sola nazione che aveva accesso ai commerci con il Giappone. E in mostra è presente anche uno straordinario quadro del maestro Hokusai, Koshu Kajikazawa
In mostra ci sono anche due vasi, che rappresentano la Legge del Pieno e del Vuoto, e il vaso di Rubin: un caso particolare del rapporto fra pieno e vuoto, dal momento che primo sguardo il vaso è un vaso concreto, ma il vuoto ai lati si configura come la presenza di due profili umani, che sono a loro volta il pieno se si considera vuoto il vaso, come accade nei Vasi fisiognomici di Luca Patella. E c’è la possibilità di utilizzare piccoli vasi magnetici per riprodurre questo fenomeno e capirlo meglio, ad altezza adulto e bambino.
E qui c'è una prima tappa che possiamo considerare interattiva, nella quel i bambini si divertono a capire se il nero o il bianco sono viso o vaso, giocano con i magneti, li spostano, possono entrare nell'opera d'arte, in un certo senso.

Attraverso tutto il percorso espositivo vi sono delle "stazioni" nelle quali poter sperimentare alcune delle leggi matematiche che si vedono ritratte nei quadri di Escher, e dove poter scattare fotografie che riproducono il visitatore come se si trovasse all'interno del quadro stesso: si entra in una stanza dove volano gabbiani e i riflessi negli specchi sono mille e sembra di entrare nella camera degli specchi o nel labirinto degli specchi di certe giostre.
La terza sezione si concentra sulle superfici riflettenti e sulla struttura dello spazio: Escher è da sempre affascinato dalle superfici riflettenti e il suo primo autoritratto su specchi curvi risale al 1921. Utilizzando una sfera per riflettere i raggi che provengono da tutte le direzioni, si rappresenta tutto lo spazio intorno a sè e gli occhi dell’osservatore sono sempre al centro: la sensazione è quella dell’io al centro del mondo. Così, l’Io è, lo scrive lo stesso Escher, il protagonista indiscusso al centro del mondo che gli gravita intorno. In questa sezione la tassellatura viene a rappresentare figure piane e solide, in una varietà compositiva variegata, senza lasciare vuoti, come in Profondità del 1955, dove la tassellatura riprende la struttura degli atomi del ferro, riprendendo la passione di Escher per metalli e cristalli e per le leggi di organizzazione molecolare dello spazio. E anche questa è una sensazione che si può sperimentare, questa volta nel cortile d'ingresso del Palazzo Reale, dove ci si riflette in una sfera sostenuta da una mano e ci si può fotografare come si ritrasse Escher.
Maurits Cornelis Escher, Mano con sfera riflettente, 1935, Litografia, 31,1x21,3 cm Fondazione M.C. Escher All M.C. Escher works © 2016 The M.C. Escher Company The Netherlands. All rights reserved www.mcescher.com


L’opera Tre sfere I, del settembre 1945, invece, mostra ai bambini, ma anche ai grandi, la straordinaria abilità di Escher quale incisore: bisogna infatti tenere presente che l’incisione è il risultato a rovescio dell’opera dell’artista: il bianco corrisponde ai solchi incisi sulla matrice di legno, il nero a ciò che non viene inciso. Escher non lavora più solamente sulla suddivisione dello spazio in modi continui, ma anche con i paradossi geometrici: dal foglio allo spazio, si ha l’impressione che le sfere buchino il quadro, diventando tridimensionali. E' un effetto che anche i bambini riescono ad apprezzare bene.
La grafica acquisisce una plasticità tridimensionale. Ma non si accontenta nemmeno di questo, va anche alla ricerca di quei paradossi rappresentati dagli oggetti impossibili: costruzioni a prima vista del tutto verosimili, ma in realtà  irrealizzabili. Un esempio molto noto è quello delle Mani Che Disegnano, del gennaio 1948, ma anche Su e Giù, del luglio 1947, e Relatività, del luglio 1953.
Maurits Cornelis Escher, Convesso e concavo, Marzo 1955, Litografia, 27,5x33,5 cm Collezione Giudiceandrea Federico All M.C. Escher works © 2016 The M.C. Escher Company. All rights reserved www.mcescher.com



Sono certamente questi i quadri che più appassionano la maggior parte dei bambini, perchè seguono le scale che non scendono e non salgono, le colonne che sembrano normali ma che non finiscono, insomma una serie di cose impossibili che, come tali, hanno il loro fascino.
La quarta sezione che attende il visitatore, è Metamorfosi, che prende il nome dall’opera Metamorfosi, uno dei capolavori assoluti nella sua produzione.
L’opera mostra una serie infinita di trasformazioni basate su diversi tipi di tassellature e assonanze logiche e formali che si concludono con la veduta di Atrani, il paesino della scogliera amalfitana, caro all’artista, che vi aveva trascorso il suo viaggio di nozze. Escher aveva ritratto Atrani nel 1931. 
L’ultima sezione, la quinta, è dedicata ai paradossi geometrici spostando il piano dal foglio allo spazio, per ricordare che Escher, oltre che artista, è stato anche studioso delle scienze matematiche e geometriche. 
Lo straordinario quadro Galleria di stampe, del (1956), rappresenta una raffinata versione dell’artificio “dell’immagine nell’immagine” detto anche Effetto Droste (nome che deriva dalla scatola del famoso cacao olandese) che ha attirato gli scienziati in un dibattito protrattosi per quarantasette anni, senza che si riuscisse a risolvere un problema che pareva insolubile per la sua complessità enigmatica e per il mistero sul quale la stessa opera di Escher cercava di far chiarezza.
Per capire la complessità dell’opera, e la difficoltà di risoluzione matematica dell’effetto finale, per il quale l’opera rimase incompleta, a causa della difficoltà di farla congiungere al centro, nel quale a quel punto Escher lasciò uno spazio vuoto riempiendolo con la propria firma, si pensi che il “mistero” fu risolto solo nel 2003, quando due matematici, H. Lenstra e B. DE Smit dell'Università di Leida sono riusciti a chiudere il quadro. Una rappresentazione di come avrebbe dovuto essere chiuso è riportato in Trasformazione Conforme Gestaltheorie.
E qui la sorpresa di poter diventare, grazie a un video, parte dell'immagine che muta e si chiude, in una stanzetta apposita.

L'ultima sezione si dedica alle citazioni dell’arte di Escher, come le sue scale impossibili: spezzoni di episodi animati di Mickey Mouse, nell'Apprendista Stregone, e poi dei Simpson, video di pubblicità, come quella dell’Audi del 2007 basata su stampe famose come Cascata, presenti in mostra.
Spezzoni del film fantastico Labyrinth del 1986 con David Bowie, prodotto da George Lucas, in cui si vede una scena costruita sull’immagine di Case di scale. Infine, la collaborazione con Studio lungo il percorso della mostra si trova una stanza quadrata nella quale scorrono, a diverse altezze, quattro rampe di scale. Un’installazione poetica che suggeriscce l’opera Relatività del maestro olandese, dove un universo profondo affonda sotto i piedi del visitatore. Tra le scale compaiono piccoli animali, sfuggiti alle metamorfosi escheriane, permettono, ancora una volta, di sentirsi al centro di un'opera del maestro.

Una visita che ha entusiasmato, e stancato, le due iene non più tanto piccole, eprch+ si tratta comunque di una visita piuttosto lunga.
Un'sperienza da raccomandare, comunque.

venerdì 1 luglio 2016

Mirò, la forza della materia al MUDEC di Milano con i bambini

Joan Miró Donna , 1938 Matita colorata, pastello, inchiostro di china e guazzo su carta, cm 41 x 33 Collezione privata © Successió Miró by SIAE 2016

Come forse saprete, il MUDEC, il Museo delle Culture di Milano, la cui meravigliosa collezione è visitabile gratuitamente, ospita anche mostre temporanee e laboratori dedicati ai bambini.

Noi non siamo ancora riusciti a partecipare a dei laboratori per bambini, un po' per pigrizia nell'organizzarsi per tempo e prenotare, un po' perchè sono in giorni e orari che a noi interessano poco, ma sono sicura che sarebbe un'esperienza meravigliosa.

Ma siamo recentemente stati a visitare la grande mostra dedicata a Mirò, un artista che sicuramente può piacere ai bambini per i suoi colori forti i suoi tratti alle volte infantili, legati al primitivismo, e la sua "stranezza".

Al MUDEC, per la mostra Mirò, la forza della materia, sono in mostra oltre cento opere, fra quadri e sculture.
Sono esposte in un percorso cronologico che ripercorre le tappe e l’evolversi dell’arte di Joan Mirò, con lavori della Fundaciò Joan Mirò Mirò, della collezione di famiglia dell’artista ma anche da altri prestatori europei pubblici e privati.
 
Il visitatore, all’ingresso della prima sala,  è accolto dalle note di Duke Ellington, Blues for Joan Mirò, un brano improvvisato durante una visita alla Fondation Maeght, visita nel corso della quale il musicista ebbe modo di conoscere l’artista.

L’obiettivo primario della mostra è quello di mettere in rilievo il processo di semplificazione della realtà, un processo che riportava all’arte primitiva, punto di riferimento per l’impostazione di un vocabolario di simboli originale, ma anche come strumento per raggiungere una nuova percezione della cultura materiale.

E il percorso espositivo riesce nel suo intento, anche quello di coinvolgere visitatori giovani e meno giovani, sia con l’ampia offerta di opere, sia con il percorso che illustra in odo chiaro sia la vita che l’opera dell’artista, nonchè l’intento della mostra stessa; sia con le audioguide, divise fra adulti e bambini, che vengono così guidati in modo personalizzato attraverso il mondo della materia dell’artista, con un kids’ tour, un percorso all’interno della mostra specificamente dedicato a loro, guidati da un filo, amico di Mirò.

Nei primi anni di attività artistica, Mirò, lasciandosi influenzare dagli amici poeti che si lasciavano suggestionare da parole scelte a caso, aborre la pittura come tradizionalmente concepita e sperimenta, a partire dagli anni Venti del Novecento, materiali eterodossi e insoliti, procedimenti innovativi, infrange volutamente le leggi prestabilite per raggiungere le fonti più pure dell’arte, in un processo di “assassinio della pittura”, come lui stesso proclama nel 1931, fino alla fine degli anni Quaranta. Anni che lo vedono trasferirsi prima in Francia, a causa della guerra civile spagnola, e poi tornare in Spagna, a palma di Maiorca, nel tentativo di sfuggire ai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale, insomma una fuga dalla violenza che incombe sull’Europa di quegli anni.
Mirò si dichiara affascinato da sempre dal pensiero, dall'arte e dalla cultura dell'estremo oriente: fin da giovane si interessa al ukiyo-e nipponici e rimane impressionato dal modo di reagire dei giapponesi davanti a una goccia d'acqua, a un sassolino, una manciata di sabbia, cose che sembrano non avete importanza. 


Il dipinto di olio su tela del 1962 in formato allungato e verticale ricorda i kakémono, dipinto o calligrafie da apprendere alle pareti dei locali in cui si svolge la cerimonia del tè.


Joan Miró Dipinto , 1962 Olio su stoffa, cm 229 x 67 Collezione privata © Successió Miró by SIAE 2016
In via del tutto generale, si può dire che Mirò usa il disegno per dare una rappresentazione dei protagonisti dei suoi lavori: spesso predomina il disegno in nero, talvolta la sottile linea grafica, sempre nera, definisce le sue donne, gli uccelli, le stelle, figure che si trovano quasi sempre nelle sue opere. In alcuni lavori, tuttavia, in netto contrasto con il segno grafico nero, la funzione rappresentativa è data dal colore, pur non rinunciando all’efficacia rappresentativa del tratto, spesso per delineare i contorni della figura, sottile sullo sfondo e negli spazi interni. Ciononostante, Mirò non rivela mai le fattezze delle sue figure, femminili e non, non crea riferimenti alla fisionomia, nè alle espressioni del viso. Abolisce il ritratto completamente, per affermare lo schema.
La pittura di Mirò è poesia, e con la poesia di fonde: parole e frasi poetiche tracciate sottilmente in nero nei suoi quadri, ma anche il colore usato come fosse poesia, tanto che Mirò stesso scrive: "È la materia che governa il tutto.  Sono contrario a qualsiasi ricerca intellettuale premeditato e morta.  Il pittore lascia come il poeta: prima viene la parola, poi il pensiero. "
Spesso Mirò ha prodotto serie di dipinti connessi fra loro, per affrontare questioni pittoriche, formulare e riformulare un problema o un’intuizione, e ottenere una pluralità di risultati, diversi ma simili, connessi fra loro. E la connessione sta spesso nelle forme, nei segni tracciati, o nei colori, ma anche nella materia, nei supporti utilizzati, come le tavole di legno, o le assi di legno coperte da carta catramata. In molti casi Mirò stesso afferma che si lascia guidare dal nero, che è il primo colore che stende, seguito dal resto, che “gli viene suggerito dai neri”.
L’importanza della materia nell’opera di Mirò fa sì che incominci a interessarsi ad altre forme di espressione artistica, quali la scultura, gli arazzi, la grafica, e trovarvi un terreno fertile per la sperimentazione.
La scultura lo vede raccogliere oggetti diversi, quelli che colpiscono a sua immaginazione, quelli abbandonati sulle spiagge raccolti nel corso delle sue lunghe passeggiate: tronchi d’albero, contenitori, tutto può essere fonte d’ispirazione e Mirò, potendo disporre di un grandissimo studio, pone questi oggetti sul pavimento dello stesso, in attesa che la forza magnetica che da essi si sprigiona faccia sì che spontaneamente si attraggano fra di loro a comporre quella che sarà la base delle sue sculture di bronzo. E la mostra ben illustra il processo, sia virtualmente, sia con vetrine che mostrano gli oggetti che hanno composto una o più delle sculture esposte: teche contengono questi oggetti che sono stati la base della fusione in bronzo che ha portato alla scultura posta in mostra vicino ad esse.
Diventa così chiaro a tutti il procedimento utilizzato dal grande artista nella produzione delle sue sculture bronzee.
La parte virtuale è lasciata alle diverse postazioni dotate di Samsung Gear per la realtà virtuale, che permettono al visitatore della mostra di entrare nell’enorme studio di Mirò e di visitarlo da diversi punti di vista, vedendo come il maestro disponeva le varie opere a cui stava lavorando e gli oggetti da lui ritrovati che comporranno le sue sculture. Ma permette anche, ed è la parte più entusiasmante, benchè molto breve, di entrare in una delle opere pittoriche del maestro catalano.
Secondo le norme della mostra, i Gear possono essere utilizzati solo da bambini di età superiore, se non ricordo male, ai dieci o dodici anni, però è un'esperienza interessante, che i miei bimbi avevano già vissuto all'EXPO, e non vi erano limitazioni di età, nonostante l'esperienza fosse più lunga.
Qui è scattata una piccola delusione.

Fra le tante tecniche e sperimentazioni in mostra, una parte importante rivestono le numerose incisioni fatte da Mirò, che inizialmente sperimenta con l’acquatinta e l’acquaforte, tecniche già in uso, che gli permettono di riprodurre serialmente alcune opere, come nei suoi desideri per rendere più fruibile e accessibile a tutti l’arte; alla fine degli anni Sessanta introduce il metodo del carborundum o carburo di silicio, che gli permetterà di arricchire la materia e potenziare il tratto, lavorando per addizione anzichè per sottrazione, come facevano le precedenti tecniche incisorie. E ottenendo così incisioni con spessore e qualità materica che non era possibile ottenere prima. Mirò sfida così anche i condizionamenti imposti dalla tecnica perchè non siano d’ostacolo alla sua libertà di espressione, ma anzi, la amplifichino.

Nel 1957 Mirò introduce il colore nel campo della scultura.  Ciascun elemento  viene definito da un colore diverso.  Paradossalmente, come conseguenza della coloritura, tali elementi sembrano più irreali: le superfici rivide, rugosa, lisce o prose sono Siena riconoscibili sotto uno stato di come intenso. Le parti non si distinguono per la riuscirei identità in quanti oggetti? Ma sulla base del contenuto cromatico determinato dall'artista.  È una concezione pittorico  più che scultorea. E Mirò impone anche il punto di vista frontale alle sue sculture, lo stesso che ha il pittore che dipinge una sua opera.

Ovviamente il MUDEC, in occasione della mostra, offre laboratori per bambini a tema.

sabato 25 giugno 2016

L'Archeopark: un'esperienza da uomini della preisotira

Con i bambini ci siamo recati poco tempo fa a visitare l'Archeopark di Darfo Boario Terme. In realtà il mini2 c'era già stato con la scuola: era stato talmente entusiasta dell'esperienza e dei laboratori fatti che aveva fatto dire al mini1 (che a sua volta era stato con noi e con la scuola al Parco della Preistoria dei dinosauri) che ci sarebbe voluto andare anche lui.

Ed era stata una promessa: ci andremo insieme. Dato il lungo weekend e il fatto che, come sempre, all'ultimo minuto ci siamo trovati a non aver prenotato nulla per Venezia, l'originaria meta, abbiamo optato per gite in giornata, tempo permettendo. E una meta papabile era proprio l'Archeopark.

Premesso che uscendo dall'autostrada a Bergamo ci vuole una vita per arrivarci, la strada è lenta ma gradevole, essendo immersa nel verde e costeggiando a tratti il lago. Una volta arrivati là abbiamo avuto la sorpresa che per loro non era un weekend lungo, quindi...niente attività per le famiglie, solo per le scuole.

Per fortuna nostra c'erano diverse classi in giro per il parco e abbiamo potuto accodarci a loro per le attività con guida, quando abbiamo desiderato farlo! L'Archeopark apparentemente è piccolo, ma offre tanti ambienti diversi da vedere e scoprire, a spasso nella preistoria, e, se si seguono anche della attività guidate, la gita diventa lunga e vale la pena.

Si passa dal Paleolitico con le sue pitture rupestri riprodotte all'interno di una caverna naturale e con i suoi rifugi da popolazioni ancora nomadi sotto a tende di pelli animali, al Neolitico, con i suoi  "villaggi" decisamente più avanzati, compatibili con una vita più sedentaria, con fattorie e addirittura un villaggio fortificato.

Nel bel mezzo del parco un laghetto che si può attraversare con due zattere a corda, oppure a bordo di piroghe a remi. Un'esperienza che consiglio, sebbene si debba fare molta attenzione a muoversi dolcemente e senza scatti per evitare il capovolgimento.







E le attività proposte ai gruppi, ma nei fine settimana anche alle famiglie, comprendono la macinatura a pietra di cereali e la cottura su pietra e fuoco di panini impastati con i cereali macinati e l'acqua; la battitura di rame per creare una ciotola; la riproduzione di disegni e segni preistorici tramite tecnica di frottage; laboratori di ceramica tiro con l'arco, ecc.
Ma anche l'uso di antichi trapani a mano e altri strumenti preistorici è illustrata e può essere sperimentata in prima persona con l'aiuto di animatori:


Una bella esperienza, e da non dimenticare, se il tempo lo permette (pioveva molto forte quando siamo ripartiti, ma anche nell'ultimo pezzo della nostra visita) che la Val Camonica è il luogo dove, in Italia, si trovano la maggior parte dei graffiti di epoca preistorica.

Ed è anche una location molto attraente in sè, anche se nelle nostre foto il cielo era grigio o bianco per via del maltempo:


venerdì 24 giugno 2016

The Floating Piers di Christo: camminare sulle acque del Sebino

Come ormai tutti nel mondo sanno, perchè l'hanno letto, l'hanno sentito alla radio, l'hanno visto in TV, per sedici giorni, dal 18 giugno al 3 luglio del 2016 (se il clima lo permette), il Lago d’Iseo viene reinventato: centomila metri quadrati di un tessuto giallo scintillante, che prende le tonalità arancioni del tramonto quando è bagnato dalle acque del lago, avvolgono un sistema modulare galleggiante di duecentoventimila cubi di polietilene ad alta densità, e dondolano al movimento delle onde, permettendo di “camminare sulle acque” del lago stesso. I visitatori diventano parte dell’opera d’arte camminandovi sopra fin dalle strette e nascoste viuzze del paese di Sulzano, anch’esse parzialmente ricoperte dallo stesso tessuto, a Monte Isola, dove una parte dell’opera si trova sulla riva, sulla passeggiata a bordo lago, fino all’Isola di San Paolo, normalmente non accessibile, nemmeno con natanti, poichè proprietà privata della famiglia Beretta, ma oggi circondata dai Floating Piers e dal loro incantevole colore. Un giallo che ricorda quello dei capelli della scomparsa Jeanne-Claude, compagna di vita di Christo, e che è un po’ il marchio di fabbrica della coppia di artisti. Un giallo che contrasta violentemente con il blu intenso e il verde scuro dei boschi che accarezzano le montagne circostanti, e che rende ben visibili da lontano i Floating Piers, che possono essere osservati anche dai sentieri che conducono a Sulzano fra gli ulivi e i boschi, ma anche dalla alture di Monte Isola e dai monti su entrambe le sponde del lago.
Prospettive sempre diverse ma affascinanti, che rendono bene la grandiosità dell’opera che può essere altrimenti apprezzata solo camminandovi sopra e constatando di prima persona quanto sia immensa.


“Come tutti i nostri progetti, The Floating Piers sono gratuiti e accessibili ventiquattr’ore al giorno, tempo permettendo,” ha affermato Christo. “Non ci sono inaugurazioni, aperture, prenotazioni, proprietari. I The Floating Piers sono un’estensione della strada e appartengono a tutti”. Mentre tutti sanno che una passerella flottante lunga tre chilometri è stata posata negli scorsi mesi per permettere di attraversare a piedi le acque del lago d’Iseo da Sulzano a Monte Isola, da Monte Isola all’Isola di San Paolo, forse non tutti sanno che il tessuto giallo oro ricopre anche ben due chilometri e mezzo di strade pedonali a Sulzano e a Peschiera Maraglio. La passerella è larga sedici metri e alta circa trentacinque centimetri, i lati sono delicatamente digradanti verso l’acqua, per imitare le normali coste e spiagge esistenti. Cristo ha affermato che “Coloro che sperimenteranno la camminata sui The Floating Piers si sentiranno come se camminassero sull’acqua o forse sulla schiena di una balena. La luce e l’acqua trasformeranno il tessuto giallo brillante in sfumature di rosso e oro per tutti i sedici giorni”. Dati tecnici a parte, l’esperienza è unica e merita la fatica di viverla. Perchè di una fatica si tratta, ma anche l’attesa e il sole, il caldo e lo sforzo per raggiungere i Floating Piers fanno parte di un’esperienza artistica totalizzante. Perchè di uno sforzo si tratta: con i bambini abbiamo percorso un totale di 25 chilometri, partendo da Iseo e tornandovi a piedi, all'andata con una deviazione imprevista, al ritorno facendo la strada pianeggiante a bordo lago che prevedevamo di percorrere anche all'andata. L’imponente organizzazione fa sì che vi siano parcheggi, navette, treni frequentissimi, traghetti da diversi punti del lago, ma la gente è davvero tanta e bisogna armarsi di pazienza e prevedere lunghe code anche solo per prendere una navetta. Per chi ha una buona forma fisica e una buona resistenza agli forzi, consigliata la via pedonale. Che non è la via lacustre, quindi pianeggiante e semplice, ma, provenendo da Iseo, si viene dirottati verso un sentiero agreste, in forte pendenza all’inizio e con una pendenza minore successivamente. Ci si trova a superare gli ulivi, e in qualche punto all’ombra di grandi alberi, ma in generale il percorso è sotto il caldo sole di giugno. Ed è lungo, molto lungo. Ma ne vale la pena, perchè la vista che offre sull’opera di Christo è mozzafiato. La visuale si apre sull’intera opera: da Sulzano a Monte Isola, da Monte Isola all’Isola di San Paolo e ritorno (due tratti separati di Floating Piers). E lo spettacolo che si para agli occhi dei visitatori include anche le differenze cromatiche fra le acque in normale movimento e quelle invece racchiuse fra due rami di galleggianti, quasi ferme e di colore decisamente diverso. Una volta giunti a Sulzano, i visitatori sono accolti dai primi metri di tessuto giallo brillante e si devono mettere in coda per accedere alle “passerelle”. Il primo tratto di queste ultime è breve: fra Sulzano e Monte Isola il braccio di lago non è amplissimo, ma anche qui le passerelle offrono il primo sentore di cammino sulle acque, o sulla schiena della balena: ondeggiano, sebbene non in modo allarmante, e la sensazione è molto diversa da quella che si prova sulle classiche passerelle che portano agli imbarchi di piccoli natanti lacustri.


Dopo un cammino attraverso il centro di Peschiera Marasino, sempre accompagnati dal luminosissimo tessuto giallo,

si arriva ai due rami più lunghi dei Piers: quelli che conducono all’Isola di San Paolo. Sono anche meno affollati del primo, perciò offrono la possibilità di godere maggiormente dell’opera e di sentirsene parte. Il consiglio è quello di percorrerli a piedi nudi: si comprenderà così che in realtà i blocchi di polietilene ad alta densità non sono duri, ma danno la sensazione di qualcosa che si deforma sotto ai piedi, benchè ricoperti di tessuto.



Se la giornata è di pieno sole, si potrà godere del forte contrasto fra il blu del cielo, il verde-blu del lago, il verde dei boschi sui fianchi delle colline e delle infinite sfumature che assume questo tessuto cangiante: dal giallo all’oro, i particolare quando colpito in pieno dal sole, e dall’arancione al rosso, soprattutto nelle zone vicine all’acqua o dove è bagnato.


 L’Isola di San Paolo, circondata dai The Floating Piers, offre un inganno visivo: sembra quasi che i Piers siano posati su terreno e invece la casa e le sue mura posano direttamente nell’acqua e i floating Piers sono solo vicinissimi alle mura: fra esse e i Piers una rete a protezione di cadute accidentali nell’acqua. Dall’Isola minore si può tornare a Monte Isola usando un altro Pier, per poi percorrere il sentiero a bordo lago anch’esso ricoperto di tessuto fino alla passerella che riporta a Sulzano da Monte Isola. Un’esperienza entusiasmante, che porta lo spettatore a calarsi nell’opera d’arte di Christo, a farne parte attiva, a renderla un’opera vivente.


Morale è un'esperienza che vi consiglio, se reggete il caldo. Purtroppo ora la chiusura notturna sarà forse permanente a causa della folla, composta, purtroppo, anche da maleducati, che non solo non riportano con sè la propria spazzatura (che cosa ci vorrà mai a riportarsi via una bottiglia di plastica vuota se si trovano tutti i cestini pieni? invece di inondare il paesino e l'isoletta di pattume?), ma, addirittura, portano con sè sulla passerella i cani lasciandovi i loro ricordini. E lo so che qui mi attirerò gli strali di molti amanti di cani, ma non mi importa: so che siete tutti bravissimi, che tutti raccogliete le loro deiezioni, ma allora perchè dobbiamo fare lo slalom sui marciapiedi per evitarle? e perchè le hanno trovate sui Floating Piers? Tutti tutti bravi? In ogni caso, sarà forse permanente la chiusura notturna: peccato perchè ci sarebbe piaciuto tornare a notte fonda, con la luna quasi piena a illuminare la scena, e attendervi l'alba dondolando sull'acqua.

sabato 22 febbraio 2014

The Little Prince: the 70th anniversary and a great exhibit!

The Little Prince is a book that, in spite of the fact that everybody seems to appreciate, I learnt to know pretty late and I didn't love particularly. That doesn't, of course, change the fact that it's a fascinating book with contents that, in my opinion, aren't for children: it's not a children'ìs book, although it's often read or given to children.

It's a difficult book also for some adults: its philosophical contents aren't easy for many and even though I don't love it as a children's book, I find it fascinating as a grown-up.






WE have to take into consideration the fact that Alexandre de Saint-Exupéry was not a children's book writer, this was his one and only book for children: while leaving for a military mission, he rang Silvia Hamilton's door bell and gave her as a personal gift all the originals of the book, beacause he didn't have anything else that was extraordinary and precious to give her.

What many people ignore is the fact that the book was written not in France, but in New York and Long Island, even though the original was anyway in French, as Saint-Exupéry never mastered English.

The writer lived for two years in New York, after leaving France at the maximum height of the tension with neighboring Germany, but in 1943 he was asked to join the Free French Air Force as a military pilot and to leave for some reconaissance flights in North Africa.
Being eight years older than allowed in such mission, he petitioned for exemption but didn't obtain it. r. On July 31, 1944, he left on a reconnaissance mission, never to return. Right before leaving (he was 43), he appeared at his friend's Silvia's door, as mentioned before, and left on her entrance hall table a paper bag containing the original manuscripts and watercolors of The Little Prince, with all of their coffee stains and cigarette burns.







The Morgan Library of New York bought the manuscripts and watercolors in 1968.



In 1944, Saint-Exupéry left on a reconaissance flight never to come back:he was 44 years old when he died and this detail lends an eerie halo to the fact that the Little Prince watched the sun set exactly 44 times.



The Little Prince was published in France only two years after his death. To be honest, also in the USA at the beginning it had a modest success: it remained in the New York Times best seller list for only two weeks, fact that, if compared to the permanence of his diaries, that remained in the same list for over 20 weeks, tells us something about its initial success. Possibly the fact that, as I think, it was in a sort of limbo between a children's book and a philosophical tale for adults, didn't help its success.  But possibly the magic of the book lies exactly here: today it's translated into 260 languages and dialects and it is constantly re printed. 

For the 70th anniversary of its first publishing, the Morgan Library organizes an exhibit that explores the creative process adopted by Saint-Exupéry through its original manuscripts and watercolors, those that he personally gave to Silvia Hamilton in 1943, including all of the materials that he later excluded from the publication. Keeping in mind that the original manuscript contains double the words of the published books, you can imagine the richness of the contents of the exhibit and the complexity of the creative process that led to the final decision. 



The Exhibit The Little Prince: A New York Story also includes the last photographs of Saint-Exupéry, taken by John Phillips, one of the photographs working for the famous magazine LIFE, and he's the only person telling something that is considered to be the only record of the real inspiration of the book: 



When I asked Saint-Ex how the Little Prince had entered his life, he told me that one day he looked down on what he thought was a blank sheet and saw a small childlike figure. “I asked him who he was, ” Saint-Ex said. “I’m the Little Prince,” was the reply.



One of the most interesting materials in the exhibit, apart from the originals, of course, is a recension of the book written in 1943 by P.L. Travers for the New York Herald Tribune in which the journalist, sensibly, made clear the reason why the book is so attractive and timeless: 



Children quite naturally see with the heart, the essential is clearly visible to them. The little fox will move them simply by being a fox. They will not need his secret until they have forgotten it and have to find it again. I think, therefore, that The Little Prince will shine upon children with a sidewise gleam. It will strike them in some place that is not the mind and glow there until the time comes for them to comprehend it. Yet even in saying this I am conscious of drawing a line between grown-ups and children. . . . And I do not believe that line exists.

Oh, finally someone thinks what I think: it's not a proper children's book and a line between the grown-ups' and the children's worlds shouldn't exist. 

For the 70th anniversary a Special Anniversary Edition has been published, and it includes all of Saint-Exupéry's original watercolors: at the moment it exists in English and French, with audio CD, and it can be bought here: The Little Prince 70th Anniversary Gift Set



The marvelous exhibit at the NY Morgan Library will be open until April 27, 2014, if you're lucky enough to be in NY by then, go and have a look!

Feltrinelli, in Italy, dedicates to the Anniversary a series of events in variuos towns: 
Events dedicated to the Little Prince:  

Presentations: "Fire The Little Prince's 70 years anniversary with Grom" in the laFeltrinelli stores in:
 

  • Milano piazza Piemonte - Tuesday May 21, 18.00
  • Firenze Via de’ Cerretani, 30/32 - Friday  May 24, 18.00
  • Mestre Piazza XXVII ottobre 1 - Monday May 27, 18.00
  • Genova Via Ceccardi, 16r - Wednesday May 29, 18.00

In Torino when the Book Fair Salone del Libro will be on :
 

  • Saturday, May 18: "Happy Birthday, Little Prince! Happy Birthday Grom!" with Oliver d’Agay, Guido Martinetti, Federico Grom Arena Bookstock at 15.30 - 16.30

lunedì 19 agosto 2013

Luoghi Magici con i Bambini: i Castelli della Valle d'Aosta / Enchanted Places with Children: Castles in Valle d'Aosta

Arco Augusteo
Ci siamo presi una pausa di due giorni e abbiamo portato i nostri elfi in Valle d'Aosta con l'intento di visitare qualche castello fra i numerosi e famosi della Valle d'Aosta.
Abbiamo scelto su un sito Internet un hotel a due sole stelle ma molto promettente a Nus per ovviare a eventuali stanchezze e mal tempo (anche se le previsioni erano ottime): piscina interna ed esterna, bagno turco e colazione inclusi a una cifra più che ragionevole.

We've gone on a two days break with our two little elves and we've been to Valle d'Aosta, meaning to visit some of the many and famous castles of the Region.
We chose before leaving a two star but very promising hotel in Nus, to have a pleasant rest in case of being very very tired and bad weather (even if the forecast was splendid): inner and outer pool, hammam and inclusive of breakfast at a very reasonable price.

Il primo giorno abbiamo guidato diretti fino ad Aosta, e molto velocemente: le strade e autostrade erano praticamente deserte, non abbiamo trovato proprio traffico! PErciò siamo riusciti ad arrivare relativamente presto e abbiamo iniziato con una visita alla città: dal ponte Romano alla Porta PRetoria e oltre, fino al Municipio .
I bamibini erano affascinati dall'idea che così lontani da Roma ci è stato dato il benvenuto dall'Arco Augusteo, vecchio di duemila anni, e poi dalle tante e piccole casette affacciate sulla via pedonale che, ai tempi dei romani, era ancora campagna, fino alla Porta Pretoria (Augusta Pretoria, la città romana).

On day one we drove all the way to Aosta very quickly: the roads and the motorways were desert, we had no traffic at all! So we got there early and started visiting the town: from the Roman bridge to the Porta Pretoria and beyond, to the Town Hall.
The children were fascinated by the idea that so far from Rome they were welcomed by the Arch called Arch of Caesar Augustus, then by the many beautiful and tiny houses looking onto the main pedestrian road, which, at the time of the Romans was still countryside up to the Porta Praetoria (Augusta Paraetoria, la città romana , sorry but the link is in Italian or French only...)

Abbiamo camminato lungo la Via del Bhutier e siamo arrivati, con una svolta a destra, alla Chiesa dei Santi Pietro e Orso, con l'imponente torre di fronte alla chiesa e al chiostro stessi. E un monumentale tiglio di 500 anni di fronte alla torre! E, oltre il tiglio, i resti di una chiesa Paleocristian, a ingresso libero, come la maggior parte dei resti romani di Aosta.
La Chiesa e il chiostro valgono una visita. Sotto la chiesa c'è una tipica cripta con un altare in pietra: le guide normalmente non lo raccontano, ma c'è una leggenda locale che dice che se si esprime un desiderio gattonando sotto l'altare, passando nel buco scavato in esso e usciendo dall'altro lato, e poi si dice una preghiera, il desiderio verrà esaudito.

We walked along the Via del Bhutier and got to the Church of Saints Peter and Orso with the imposing tower in front of the church and cloister itself.
And a monumental 500-year-old lime (linden) tree in front of the tower!
And beyond that, the remains of a Paleochristian church, visible with a free entrance, as most of the Roman monuments in Aosta.
The church and the Cloister are well worth a visit. Under the church there's a typical crypt with a stone altar: the guides usually don't tell you that, but a local legend tells that if you express a desire crawling under the stone altar, through the hole in it, coming out on the other side, and then say a prayer, the desire will come true.


Il chiostro ha numerosissime colonnine medioevali, ognuna di esse con un capitello scolpito diverso dagli altri: provate a fare una caccia al tesoro con i bambini, chiedendo loro di identificare quelli che raffigurano animali (per esempio i cammelli) o umani, o qualsiasi cosa vi venga in mente di cercare. Questo renderà la visita ancora più affascinante.
 

The Cloister has medieval pillars each one of them with a different sculpted capital: try a treasure hunt with the children, asking them to identify those containing animals (e.g. camels) or humans, or whatever you come up with. This will make the visit even more fascinating for them.

Dopo esserci seduti sulle panchine di pietra ai piedi dell'antico tiglio per pranzare, abbiamo visitato la chiesa paleocristiana, poi abbiamo lasciato questa zona per tornare sulla Via del Bhutier e attraversare Porta Pretoria per visitare i resti del Teatro Romano (bello, bellissimo, e varrebbe la pena di pagarci un biglietto, anche minimo, se ce ne fosse uno da pagare per contribuire ai lavori di mantenimento e restauro).
Siamo poi di nuovo tornati sulla via principale (sempre area pedonale) e abbiamo camminato fino alla cattedrale, che non si trova sul corso principale ma in una via laterale, e non siamo riusciti a visitarla perchè era chiusa per l'ora di pranzo, essendo circa le 13. La Cattedrale si affaccia su un criptoportico romano a libero accesso, ancora una volta, che era un foro romano importante.

After sitting on the stone benches under the ancient tree to have lunch, we visited the paleochristian church, then left this area to head back to Via del Bhutier and cross the Porta Praetoria and see the remains of the Roman Theatre (beautiful, beautiful and worth paying a ticket, if there was one to pay...to support the maintenance works)

We got back on track on the main road (always in the pedestrian precinct) and walked to the Cathedral, which is, by the way, again on a side road, and looks onto a Cryptoporticus of Roman origins,Cathedral that we couldn't visit, being after 1 p.m. and being the church closed for lunchtime.
Augustus Arch, Porta Praetoria, Roman Theatre. Arco di Augusto, Porta Pretoria, Teatro Romano.
Abbiamo proseguito il cammino fino a vedere l'enorme municipio, e dopo tutto il camminare e con tutto il sole che abbiamo preso, che, va detto, non era caldissimo (circa 25°C), ma a questa altitudine vicino alle montagne picchia fortissimo e stanca molto, i piccoli elfi mostravano segni di stanchezza, perciò ci siamo rifatti la camminata fino all'Arco di Augusto e oltre, per vedere il ponte romano, che da circa 1000 anni non è più sull'acqua, a causa dello spostamento completo a qualche decina di metri di distanza, durante un'inondazione, del torrente che vi scorreva sotto.
A questo punto ci siamo rimessi in auto e abbiamo guidato verso Nus, tornando indietro, cioè, e abbiamo rpeso possesso della stanza di hotel che avevamo prenotato, per poi andare a nuotare. Per prima gli elfi hanno provato la piscina esterna: nonostante tutto il sole e i 25°, l'acqua era fredda, quasi gelata, perciò sono scappati fuori e siamo andati alla piscina interna, dove siamo rimasti per un'ora e mezza a rilassarci, giocare e nuotare. E la piscina interna ha un soffitto parzialmente coperto da un cielo di fibre ottiche, che la rendevano mirabolante agli occhi dei bambini: con le luci che cambiavano sempre colore e con la forma delle lucine delle fibre ottiche, per loro era una fascinazione continua.

After all the walking and visiting, and with all the sun (in spite of the good temperature, 25°C, the sun at this altitude and near the mountains really is sort of cooking!), the little elves showed some tiredness, therefore we headed back towards the Augustus Arch and beyond, to see the Roman Bridge, which since the year 1000 more or less isn't anymore on water, because of a flooding of the river that left its originbary seat to move a few mteres away, where it flows nowadays. We then took the car and drove back to Nus and took possession of the hotel room, going for a swim. At first they tried the outer pool: with all the sun shining and the 25°C, the water was cold, really freezing cold, so they opted for the inner pool, where we spent about one and a half hour, relaxing, playing, swimming. And the inner pool, by the way, had partially a ceiling of fiber optics lights, that made it so astonishing for the children: colors kept changing and the fiber optics are by themselves a different sort of thing...

Dopo la pausa salutare e divertente, e dopo aver fatto merenda con la frutta, abbiamo "attraversato la strada" per andare al castello di Fénis.
Lì abbiamo avuto un po' una sorpresa: eravamo stati troppo ottimisti a non andarci subito per comprare i biglietti, prima della pausa relax: erano le 17 e abbiamo dovuto aspettare l'ingresso delle 18,15 per entrare!
Ma c'è una ragione: in agosto l'Italia è davverpo in vacanza e fra turisti italiani e stranieri tutti i posti turistici sono di solito pieni, in più possono entrare solo gruppi di 25 persone al massimo e con visita guidata. PErciò preparatevi in anticipo: o prenotate e pagate on line indicando la precisa data e ora della visita prescelta, o dovrete aspettare...
In ogni caso abbiamo passato l'ora di attesa camminando fra i verdi campi circostanti e ammirando da diverse angolazioni il castello.


After this healthy and funny break, and after having some fruit as a snack, we "crossed the road" and went to the Fénis Castle.
There we had a bit of a surprise: we had been too optimistic not going immediately and buying the tickets for the afternoon: it was 5 p.m. and we had to wait until 6.15 p.m. to enter! But there's a reason: in August Italy is really on holiday, therefore all touristic places are usually full, plus they allow only groups of 25 people maximum inside and on guided tours. So be prepared: either you book and pay online in advance for an established hour, or you'll have to wait...
Anyway, we spent the time walking through grass meadows, beautifully green, and then got back on time to enter the castle.

Castello di Fenis. Fenis Castle
Entrando ci hanno subito detto che niente di ciò che il castello contiene è originale se non i muri, interni ed esterni, e tutto ciò che ha a che fare con la pietra: e questo a causa del fatto che il castello, costruito dagli Challans, la famiglia più ricca e importante della Valle d'Aosta, intorno al 13° secolo fu abbandonato e rimase in balia degli eventi e degli agenti atmosferici per due secoli, fino al ventesimo secolo, e in quel periodo di abbandono fu utilizzato dai contadini per stiparvi fieno, animali, ecc. e il mobilio fu disperso, così come tutto ciò che conteneva. Durante gli anni Trenta il governo lo fece restaurare e voleva costruirvi un museo dell'arredo valdostano, ma tutti gli arredi oggi presenti, benchè siano antichi, sono di origine piemontese!


As we got inside we were warned: nothing in the castle is original but the walls, interior and exterior, and all that has to do with stone: because the castle, built by the Challans family around the XIII century, was abandoned for about 200 years, until the XX century, and at that time it was used by peasants to store hay, animals and the like. And all the furniture was lost. During the thirties the government restored it and wanted to build a museum of the Valle d'Aosta ancient furniture, but the furniture inside, in spite of being really ancient, is from Piedmont.

Anche se dovettero rifare il tetto, e nonostante sia "vuoto", il castello è meraviglioso: ha molti ed enormi camini, uno dei quali, nel piano della servitù al pianterreno, ha una cappa alta 18 metri. Era enorme e veniva utilizzato per affumicare la carne (l'unioco modo per conservarla all'epoca in questa zona) e il calore e il fumo prodotti erano utilizzati, tramite quell'immensa cappa, per riscaldare i muri del piano nobile.Inoltre il cortile interno è stupendo: ha ancora tutti gli affreschi murali del 14° secolo, molto ben conservati nonostante il cortile sia all'aperto: il tetto corre lungo il perimetro quadrato del castello ma ha unìapertura centrale, lasciando appunto scoperto il cortile, perciò neve, pioggia, sole, tutto avrebbe potuto compromettere gli affreschi, ma sono ancora in ottime condizioni.


Even if they had to redo the roof, and in spite of being "empty", the castle is wonderful: it has plenty of huge fireplaces, one of which, in the servants' quarters on the ground floor, has a 18 meter high chimney. It was huge, and used to smoke meat (the only way to preserve it at that time) and the heat and the smoke produced were also used, with that very high chimney, to heat the upper noble floor.
Plus  the inner courtyard is gorgeous: it still has all of the XIV century wall frescoes, very well preserved even if the courtyard is open: the roof runs on the square building leaving the inner court open, therefore snow, rain, sun, all of it could have compromised the frescoes but they're still magnificent.

Per quanto riguarda i bambini, vi rivelerò un segreto: dite loro che devono fare una caccia al tesoro (e in ogni caso la signora che ci ha guidato nel nostro giro è stata davvero gentile e carina con i bambini e suggeriva loro di infilarsi in posti dove agli adulti non era permesso entrare, li invitava a sedersi sui sedili di pietra sotto le finestre, ecc... rendendo la visita più divertente per loro), e fate loro cercare piccole o grandi visi nascosti e scolpiti in mensole di pietra o di legno, o nei muri del castello...Dopo che ne avranno trovato qualcuno, potete raccontare loro di che si tratta: sono figurette apotropaiche di origine celtica, che dovevano tenere lontani gli spiriti cattivi e il male, lontano dalla famiglia e dalla sua casa. E in ogni caso, se non riuscite a vederle, ne troverete una proprio al primo piano accanto a una porta vicinissima a un immenso camino e ben otto in cima alle torri...dovete solo aguzzare la vista!

As for the children, I'll reveal you a secret: tell them they have to go on a treasure hunt (by the way, the lady who guided us in the tour was really pleasant and she suggested the children to spot things in certain areas where adults couldn't go, invited them to seat on the stone benches under the windows, etc...making the tour funny for them), and find tiny or larger faces hidden in stone or wooden shelves, or in walls of the castle... After they find some you can tell them what they are: they're apotropaic figurines of Celtic origin, meant to keep bad spirits and evil away from the family and the house. And anyway you can find one on the first floor near a door next to a fireplace and eight on top of the towers...you just have to look very well :)

Dopo aver cercato tutte le figurine e dopo averl individuate tutte, abbiamo lasciato il castello e siamo andati a cena ad Aosta, dove avevamo già adocchiato nel pomeriggio una piccola birreria artigianale con cucina (B63) in centro, vicina alla cattedrale: ci siamo dietti lì e abbiam cenato benone tutti e quattro, con assaggio di una birra scura di produzione propria, ottima.

E così finisce il giorno numero uno!
Siamo andati a nanna per il meritato riposo e per prepararci con nuove energie per il giorno seguente, altrettanto se non più intenso ancora!

After looking for all of the figurines and after spotting all of them, we left the castle and went for a dinner in Aosta, where we had already spotted an artisan brewery with kitchen (B63) in the centre of town, and we headed there and ate in a very good way, all four of us, tasting a dark beer made by themselves.

Day one ends here! We went to bed to have a well deserved rest and to be ready for the following intense day!