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martedì 16 agosto 2016

Abbiamo visitato la meravigliosa e stupefacente mostra su Escher a Palazzo Reale a Milano


Siamo stati, i bimbi ed io, a visitare la mostra su Escher a Milano, al Palazzo Reale. In realtà la stessa mostra l'avevo vista circa un anno fa, a Bologna, dove mi ero recata per un convegno, e, approfittando dell'essere arrivata il pomeriggio prima, avevo colto l'occasione di girare a piedi per la bellissima città emiliana e per vedere questa meravigliosa mostra.

Proprio perchè l'avevo già vista, e conoscendo le opere del maestro olandese, pensavo che i bimbi sarebbero rimasti affascinati, colpiti dalle sue architetture impossibili, e così è stato.

La mostra è strutturata secondo una formula innovativa: riunisce in sè tre approcci tipici delle mostre: è contemporaneamente una rassegna di opere, e in quanto tale racconta il percorso creativo dell’artista, il suo sviluppo artistico a contatto con un’epoca in continua evoluzione; ma è anche una rassegna iconologica e iconografica, che documenta lo sviluppo di un’immagine, del rapporto fra un’opera precedente e una seguente, dello sviluppo continuo delle teorie e dei teoremi matematici ai quali Escher si richiama continuamente per la riflessione sulle sue incisioni, e delle tracce che di essi si trovano prima in un’opera per poi venire poi sviluppati ulteriormente in quella seguente, fino a pervenire al capolavoro assoluto, Metamorfosi, che riunisce tutti i passaggi in sè, tutto il percorso di idee e il loro trasformarsi in immagine nel corso degli anni di vita e lavoro di Escher. Infine, è anche una mostra di tipo biografico, che vede come protagonista l’artista e i suoi riferimenti storici, artistici e matematici.

Si tratta, dunque, di una mostra complessa, come complesso è l’insieme di problematiche presentate dal genio creativo di Escher. Ma questa complessità e questa atipicità della mostra non appartengono ai bambini, ai queli sono riservate anche delle audioguide ad hoc, con un percorso studiato per loro. Posto che, comunque, ognuno si soffermerà sull'opera che più lo affascina o che lo fa sognare. 

 
Le opere visibili al pubblico fanno parte di un’unica collezione, quella di Federico Giudiceandrea, studioso e appassionato di Escher, che è riuscito a trasformare la passione adolescenziale per questo genio creativo in una vera e incredibilmente ricca collezione di incisioni, affiancate da quelle di altri artisti con un percorso simile, come Piranesi con il suo Arco gotico, vera e propria architettura impossibile, e Luca Patella, che, partendo dall’insegnamento Duchamp, ha creato oggetti vicini alla creatività di Escher: in mostra The Wrong and the Right Bed. E chi non vorrebbe che i suoi sogni di bambino, che siano legati a un artista o al volo nello spazio o ad altre fantasie, si realizzassero? fortunato, e bravo, il collezionista!

Maurits Cornelis Escher (1898-1972) è sicuramente adatto anche ai più piccoli, perchè è un artista in grado di affascinare tutti, grandi e piccini, con le sue aberrazioni e costruzioni impossibili.
La mostra si apre con una prima sezione, La formazione: l’Italia e l’Art Nuveau. Ancora studente, Escher è affascinato dalla tassellazione delle opere Liberty, ma è anche molto influenzato dal paesaggio italiano, Paese dove vive a più riprese fra il 1921 e il 1935, e dove intesse rapporti con l’avanguardia futurista di Roma, con i suoi richiami ai simbolisti e ai divisionisti, condividendo molti viaggi con l’incisore svizzero Triverio, viaggi durante i quali produsse moltissime opere.
Molte opere presenti in questa sezione sono dedicate proprio al paesaggio italiano e allo studio dei multipli in essi presenti sotto forma di rocce con strutture particolari, ad esempio, o di elementi naturali di altro tipo. 
Diciamo che dal punto di vista del bambino, è una parte interessante, ma non particolarmente eccitante, non avendosi ancora traccia di quelle strane scale, di quelle trasformazioni fantasiose e incredibili che avvengono in quadri più tardi.
Alla fine del 1930 Escher torna a casa depresso e con un certo senso di sconfitta dai viaggi nell’Italia meridionale: non era riuscito a vendere le sue incisioni e soffriva sia fisicamente, sia economicamente. Metteva in dubbio le proprie capacità e si chiedeva se avrebbe dovuto continuare il proprio percorso come artista o se avrebbe piuttosto dovuto dedicarsi ad altra professione.  Ma lo storico dell’arte G.J. Hoogewerff, allora direttore dell'Istituto olandese di cultura di Roma, gli suggerì di comporre un Emblemata, un insieme di massime a sfondo morale che riprendono, da un lato, la tradizione dei proverbi fiamminghi e, dall'altro, quello dei motti latini del 1531 di Andrea Albiate ad Augusta in Germania, il Liber Emblematum, nel quale i motti in latino erano accostati a immagini. Ne venne fuori un insieme di epigrammi con motti latini di quattro righe illustrati da incisioni. Lo studioso, sotto lo pseudonimo di A.E. Drijfhout,  fornì molti degli epigrammi. Sotto il proprio nome, invece, fece profondi apprezzamenti in un articolo che scrisse per fornire a Escher l’incoraggiamento necessario a proseguire con il proprio lavoro artistico. Gli emblemata della collezione sono molti e sono tutti in mostra a Palazzo Reale: si tratta di incisioni in bianco e nero, per le quali Escher usò in realtà il solo inchiostro nero, creando l’illusione del grigio tramite il variare la larghezza e la vicinanza delle linee bianche, e creando stupende ombre e luci, come nel Dado e nella Candela. Alcune delle incisioni riportano motivi che verranno poi ripresi da Escher in creazioni future, e sono spesso motivi che, attraverso la scelta delle immagini stesse o delle parole, come nel Vaso di Fiori, smentiscono i motti latini riportati. In alcuni sono molto evidenti le relazioni con Balla e con il Futurismo: basta confrontare la mano del Violinista di Balla e Acciarino o Pietra Focaia di Escher, che è il decimo Emblemata, presente in mostra.
Pochi anni dopo, nel 1936, Escher visitò l’Alhambra, a Cordova, e quella visita rinnovò in lui l’interesse per la tassellatura, già manifestato ampiamente a seguito della sua formazione art nuveau, come testimoniato dalla presenza alla mostra di Flächenschmuck di Koloman Moser (1868 - 1918) pubblicata nel 1902, sorta di prontuario delle arti applicate, punto di riferimento per il movimento Art Nuveau europeo. Escher studiò con meticolosità le decorazioni moresche che caratterizzano lo straordinario edificio spagnolo.
Sempre attento agli stimoli culturali e visivi dell'epoca, Escher non si lascia sfuggire le suggestioni che provengono dalla conoscenze dell'arte incisoria giapponese: un'arte ormai nota all'Europa fin dalla metà del diciannovesimo, ma in terra olandese già dal seicento, epoca in cui i Paesi Bassi erano la sola nazione che aveva accesso ai commerci con il Giappone. E in mostra è presente anche uno straordinario quadro del maestro Hokusai, Koshu Kajikazawa
In mostra ci sono anche due vasi, che rappresentano la Legge del Pieno e del Vuoto, e il vaso di Rubin: un caso particolare del rapporto fra pieno e vuoto, dal momento che primo sguardo il vaso è un vaso concreto, ma il vuoto ai lati si configura come la presenza di due profili umani, che sono a loro volta il pieno se si considera vuoto il vaso, come accade nei Vasi fisiognomici di Luca Patella. E c’è la possibilità di utilizzare piccoli vasi magnetici per riprodurre questo fenomeno e capirlo meglio, ad altezza adulto e bambino.
E qui c'è una prima tappa che possiamo considerare interattiva, nella quel i bambini si divertono a capire se il nero o il bianco sono viso o vaso, giocano con i magneti, li spostano, possono entrare nell'opera d'arte, in un certo senso.

Attraverso tutto il percorso espositivo vi sono delle "stazioni" nelle quali poter sperimentare alcune delle leggi matematiche che si vedono ritratte nei quadri di Escher, e dove poter scattare fotografie che riproducono il visitatore come se si trovasse all'interno del quadro stesso: si entra in una stanza dove volano gabbiani e i riflessi negli specchi sono mille e sembra di entrare nella camera degli specchi o nel labirinto degli specchi di certe giostre.
La terza sezione si concentra sulle superfici riflettenti e sulla struttura dello spazio: Escher è da sempre affascinato dalle superfici riflettenti e il suo primo autoritratto su specchi curvi risale al 1921. Utilizzando una sfera per riflettere i raggi che provengono da tutte le direzioni, si rappresenta tutto lo spazio intorno a sè e gli occhi dell’osservatore sono sempre al centro: la sensazione è quella dell’io al centro del mondo. Così, l’Io è, lo scrive lo stesso Escher, il protagonista indiscusso al centro del mondo che gli gravita intorno. In questa sezione la tassellatura viene a rappresentare figure piane e solide, in una varietà compositiva variegata, senza lasciare vuoti, come in Profondità del 1955, dove la tassellatura riprende la struttura degli atomi del ferro, riprendendo la passione di Escher per metalli e cristalli e per le leggi di organizzazione molecolare dello spazio. E anche questa è una sensazione che si può sperimentare, questa volta nel cortile d'ingresso del Palazzo Reale, dove ci si riflette in una sfera sostenuta da una mano e ci si può fotografare come si ritrasse Escher.
Maurits Cornelis Escher, Mano con sfera riflettente, 1935, Litografia, 31,1x21,3 cm Fondazione M.C. Escher All M.C. Escher works © 2016 The M.C. Escher Company The Netherlands. All rights reserved www.mcescher.com


L’opera Tre sfere I, del settembre 1945, invece, mostra ai bambini, ma anche ai grandi, la straordinaria abilità di Escher quale incisore: bisogna infatti tenere presente che l’incisione è il risultato a rovescio dell’opera dell’artista: il bianco corrisponde ai solchi incisi sulla matrice di legno, il nero a ciò che non viene inciso. Escher non lavora più solamente sulla suddivisione dello spazio in modi continui, ma anche con i paradossi geometrici: dal foglio allo spazio, si ha l’impressione che le sfere buchino il quadro, diventando tridimensionali. E' un effetto che anche i bambini riescono ad apprezzare bene.
La grafica acquisisce una plasticità tridimensionale. Ma non si accontenta nemmeno di questo, va anche alla ricerca di quei paradossi rappresentati dagli oggetti impossibili: costruzioni a prima vista del tutto verosimili, ma in realtà  irrealizzabili. Un esempio molto noto è quello delle Mani Che Disegnano, del gennaio 1948, ma anche Su e Giù, del luglio 1947, e Relatività, del luglio 1953.
Maurits Cornelis Escher, Convesso e concavo, Marzo 1955, Litografia, 27,5x33,5 cm Collezione Giudiceandrea Federico All M.C. Escher works © 2016 The M.C. Escher Company. All rights reserved www.mcescher.com



Sono certamente questi i quadri che più appassionano la maggior parte dei bambini, perchè seguono le scale che non scendono e non salgono, le colonne che sembrano normali ma che non finiscono, insomma una serie di cose impossibili che, come tali, hanno il loro fascino.
La quarta sezione che attende il visitatore, è Metamorfosi, che prende il nome dall’opera Metamorfosi, uno dei capolavori assoluti nella sua produzione.
L’opera mostra una serie infinita di trasformazioni basate su diversi tipi di tassellature e assonanze logiche e formali che si concludono con la veduta di Atrani, il paesino della scogliera amalfitana, caro all’artista, che vi aveva trascorso il suo viaggio di nozze. Escher aveva ritratto Atrani nel 1931. 
L’ultima sezione, la quinta, è dedicata ai paradossi geometrici spostando il piano dal foglio allo spazio, per ricordare che Escher, oltre che artista, è stato anche studioso delle scienze matematiche e geometriche. 
Lo straordinario quadro Galleria di stampe, del (1956), rappresenta una raffinata versione dell’artificio “dell’immagine nell’immagine” detto anche Effetto Droste (nome che deriva dalla scatola del famoso cacao olandese) che ha attirato gli scienziati in un dibattito protrattosi per quarantasette anni, senza che si riuscisse a risolvere un problema che pareva insolubile per la sua complessità enigmatica e per il mistero sul quale la stessa opera di Escher cercava di far chiarezza.
Per capire la complessità dell’opera, e la difficoltà di risoluzione matematica dell’effetto finale, per il quale l’opera rimase incompleta, a causa della difficoltà di farla congiungere al centro, nel quale a quel punto Escher lasciò uno spazio vuoto riempiendolo con la propria firma, si pensi che il “mistero” fu risolto solo nel 2003, quando due matematici, H. Lenstra e B. DE Smit dell'Università di Leida sono riusciti a chiudere il quadro. Una rappresentazione di come avrebbe dovuto essere chiuso è riportato in Trasformazione Conforme Gestaltheorie.
E qui la sorpresa di poter diventare, grazie a un video, parte dell'immagine che muta e si chiude, in una stanzetta apposita.

L'ultima sezione si dedica alle citazioni dell’arte di Escher, come le sue scale impossibili: spezzoni di episodi animati di Mickey Mouse, nell'Apprendista Stregone, e poi dei Simpson, video di pubblicità, come quella dell’Audi del 2007 basata su stampe famose come Cascata, presenti in mostra.
Spezzoni del film fantastico Labyrinth del 1986 con David Bowie, prodotto da George Lucas, in cui si vede una scena costruita sull’immagine di Case di scale. Infine, la collaborazione con Studio lungo il percorso della mostra si trova una stanza quadrata nella quale scorrono, a diverse altezze, quattro rampe di scale. Un’installazione poetica che suggeriscce l’opera Relatività del maestro olandese, dove un universo profondo affonda sotto i piedi del visitatore. Tra le scale compaiono piccoli animali, sfuggiti alle metamorfosi escheriane, permettono, ancora una volta, di sentirsi al centro di un'opera del maestro.

Una visita che ha entusiasmato, e stancato, le due iene non più tanto piccole, eprch+ si tratta comunque di una visita piuttosto lunga.
Un'sperienza da raccomandare, comunque.

venerdì 1 luglio 2016

Mirò, la forza della materia al MUDEC di Milano con i bambini

Joan Miró Donna , 1938 Matita colorata, pastello, inchiostro di china e guazzo su carta, cm 41 x 33 Collezione privata © Successió Miró by SIAE 2016

Come forse saprete, il MUDEC, il Museo delle Culture di Milano, la cui meravigliosa collezione è visitabile gratuitamente, ospita anche mostre temporanee e laboratori dedicati ai bambini.

Noi non siamo ancora riusciti a partecipare a dei laboratori per bambini, un po' per pigrizia nell'organizzarsi per tempo e prenotare, un po' perchè sono in giorni e orari che a noi interessano poco, ma sono sicura che sarebbe un'esperienza meravigliosa.

Ma siamo recentemente stati a visitare la grande mostra dedicata a Mirò, un artista che sicuramente può piacere ai bambini per i suoi colori forti i suoi tratti alle volte infantili, legati al primitivismo, e la sua "stranezza".

Al MUDEC, per la mostra Mirò, la forza della materia, sono in mostra oltre cento opere, fra quadri e sculture.
Sono esposte in un percorso cronologico che ripercorre le tappe e l’evolversi dell’arte di Joan Mirò, con lavori della Fundaciò Joan Mirò Mirò, della collezione di famiglia dell’artista ma anche da altri prestatori europei pubblici e privati.
 
Il visitatore, all’ingresso della prima sala,  è accolto dalle note di Duke Ellington, Blues for Joan Mirò, un brano improvvisato durante una visita alla Fondation Maeght, visita nel corso della quale il musicista ebbe modo di conoscere l’artista.

L’obiettivo primario della mostra è quello di mettere in rilievo il processo di semplificazione della realtà, un processo che riportava all’arte primitiva, punto di riferimento per l’impostazione di un vocabolario di simboli originale, ma anche come strumento per raggiungere una nuova percezione della cultura materiale.

E il percorso espositivo riesce nel suo intento, anche quello di coinvolgere visitatori giovani e meno giovani, sia con l’ampia offerta di opere, sia con il percorso che illustra in odo chiaro sia la vita che l’opera dell’artista, nonchè l’intento della mostra stessa; sia con le audioguide, divise fra adulti e bambini, che vengono così guidati in modo personalizzato attraverso il mondo della materia dell’artista, con un kids’ tour, un percorso all’interno della mostra specificamente dedicato a loro, guidati da un filo, amico di Mirò.

Nei primi anni di attività artistica, Mirò, lasciandosi influenzare dagli amici poeti che si lasciavano suggestionare da parole scelte a caso, aborre la pittura come tradizionalmente concepita e sperimenta, a partire dagli anni Venti del Novecento, materiali eterodossi e insoliti, procedimenti innovativi, infrange volutamente le leggi prestabilite per raggiungere le fonti più pure dell’arte, in un processo di “assassinio della pittura”, come lui stesso proclama nel 1931, fino alla fine degli anni Quaranta. Anni che lo vedono trasferirsi prima in Francia, a causa della guerra civile spagnola, e poi tornare in Spagna, a palma di Maiorca, nel tentativo di sfuggire ai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale, insomma una fuga dalla violenza che incombe sull’Europa di quegli anni.
Mirò si dichiara affascinato da sempre dal pensiero, dall'arte e dalla cultura dell'estremo oriente: fin da giovane si interessa al ukiyo-e nipponici e rimane impressionato dal modo di reagire dei giapponesi davanti a una goccia d'acqua, a un sassolino, una manciata di sabbia, cose che sembrano non avete importanza. 


Il dipinto di olio su tela del 1962 in formato allungato e verticale ricorda i kakémono, dipinto o calligrafie da apprendere alle pareti dei locali in cui si svolge la cerimonia del tè.


Joan Miró Dipinto , 1962 Olio su stoffa, cm 229 x 67 Collezione privata © Successió Miró by SIAE 2016
In via del tutto generale, si può dire che Mirò usa il disegno per dare una rappresentazione dei protagonisti dei suoi lavori: spesso predomina il disegno in nero, talvolta la sottile linea grafica, sempre nera, definisce le sue donne, gli uccelli, le stelle, figure che si trovano quasi sempre nelle sue opere. In alcuni lavori, tuttavia, in netto contrasto con il segno grafico nero, la funzione rappresentativa è data dal colore, pur non rinunciando all’efficacia rappresentativa del tratto, spesso per delineare i contorni della figura, sottile sullo sfondo e negli spazi interni. Ciononostante, Mirò non rivela mai le fattezze delle sue figure, femminili e non, non crea riferimenti alla fisionomia, nè alle espressioni del viso. Abolisce il ritratto completamente, per affermare lo schema.
La pittura di Mirò è poesia, e con la poesia di fonde: parole e frasi poetiche tracciate sottilmente in nero nei suoi quadri, ma anche il colore usato come fosse poesia, tanto che Mirò stesso scrive: "È la materia che governa il tutto.  Sono contrario a qualsiasi ricerca intellettuale premeditato e morta.  Il pittore lascia come il poeta: prima viene la parola, poi il pensiero. "
Spesso Mirò ha prodotto serie di dipinti connessi fra loro, per affrontare questioni pittoriche, formulare e riformulare un problema o un’intuizione, e ottenere una pluralità di risultati, diversi ma simili, connessi fra loro. E la connessione sta spesso nelle forme, nei segni tracciati, o nei colori, ma anche nella materia, nei supporti utilizzati, come le tavole di legno, o le assi di legno coperte da carta catramata. In molti casi Mirò stesso afferma che si lascia guidare dal nero, che è il primo colore che stende, seguito dal resto, che “gli viene suggerito dai neri”.
L’importanza della materia nell’opera di Mirò fa sì che incominci a interessarsi ad altre forme di espressione artistica, quali la scultura, gli arazzi, la grafica, e trovarvi un terreno fertile per la sperimentazione.
La scultura lo vede raccogliere oggetti diversi, quelli che colpiscono a sua immaginazione, quelli abbandonati sulle spiagge raccolti nel corso delle sue lunghe passeggiate: tronchi d’albero, contenitori, tutto può essere fonte d’ispirazione e Mirò, potendo disporre di un grandissimo studio, pone questi oggetti sul pavimento dello stesso, in attesa che la forza magnetica che da essi si sprigiona faccia sì che spontaneamente si attraggano fra di loro a comporre quella che sarà la base delle sue sculture di bronzo. E la mostra ben illustra il processo, sia virtualmente, sia con vetrine che mostrano gli oggetti che hanno composto una o più delle sculture esposte: teche contengono questi oggetti che sono stati la base della fusione in bronzo che ha portato alla scultura posta in mostra vicino ad esse.
Diventa così chiaro a tutti il procedimento utilizzato dal grande artista nella produzione delle sue sculture bronzee.
La parte virtuale è lasciata alle diverse postazioni dotate di Samsung Gear per la realtà virtuale, che permettono al visitatore della mostra di entrare nell’enorme studio di Mirò e di visitarlo da diversi punti di vista, vedendo come il maestro disponeva le varie opere a cui stava lavorando e gli oggetti da lui ritrovati che comporranno le sue sculture. Ma permette anche, ed è la parte più entusiasmante, benchè molto breve, di entrare in una delle opere pittoriche del maestro catalano.
Secondo le norme della mostra, i Gear possono essere utilizzati solo da bambini di età superiore, se non ricordo male, ai dieci o dodici anni, però è un'esperienza interessante, che i miei bimbi avevano già vissuto all'EXPO, e non vi erano limitazioni di età, nonostante l'esperienza fosse più lunga.
Qui è scattata una piccola delusione.

Fra le tante tecniche e sperimentazioni in mostra, una parte importante rivestono le numerose incisioni fatte da Mirò, che inizialmente sperimenta con l’acquatinta e l’acquaforte, tecniche già in uso, che gli permettono di riprodurre serialmente alcune opere, come nei suoi desideri per rendere più fruibile e accessibile a tutti l’arte; alla fine degli anni Sessanta introduce il metodo del carborundum o carburo di silicio, che gli permetterà di arricchire la materia e potenziare il tratto, lavorando per addizione anzichè per sottrazione, come facevano le precedenti tecniche incisorie. E ottenendo così incisioni con spessore e qualità materica che non era possibile ottenere prima. Mirò sfida così anche i condizionamenti imposti dalla tecnica perchè non siano d’ostacolo alla sua libertà di espressione, ma anzi, la amplifichino.

Nel 1957 Mirò introduce il colore nel campo della scultura.  Ciascun elemento  viene definito da un colore diverso.  Paradossalmente, come conseguenza della coloritura, tali elementi sembrano più irreali: le superfici rivide, rugosa, lisce o prose sono Siena riconoscibili sotto uno stato di come intenso. Le parti non si distinguono per la riuscirei identità in quanti oggetti? Ma sulla base del contenuto cromatico determinato dall'artista.  È una concezione pittorico  più che scultorea. E Mirò impone anche il punto di vista frontale alle sue sculture, lo stesso che ha il pittore che dipinge una sua opera.

Ovviamente il MUDEC, in occasione della mostra, offre laboratori per bambini a tema.

venerdì 24 giugno 2016

The Floating Piers di Christo: camminare sulle acque del Sebino

Come ormai tutti nel mondo sanno, perchè l'hanno letto, l'hanno sentito alla radio, l'hanno visto in TV, per sedici giorni, dal 18 giugno al 3 luglio del 2016 (se il clima lo permette), il Lago d’Iseo viene reinventato: centomila metri quadrati di un tessuto giallo scintillante, che prende le tonalità arancioni del tramonto quando è bagnato dalle acque del lago, avvolgono un sistema modulare galleggiante di duecentoventimila cubi di polietilene ad alta densità, e dondolano al movimento delle onde, permettendo di “camminare sulle acque” del lago stesso. I visitatori diventano parte dell’opera d’arte camminandovi sopra fin dalle strette e nascoste viuzze del paese di Sulzano, anch’esse parzialmente ricoperte dallo stesso tessuto, a Monte Isola, dove una parte dell’opera si trova sulla riva, sulla passeggiata a bordo lago, fino all’Isola di San Paolo, normalmente non accessibile, nemmeno con natanti, poichè proprietà privata della famiglia Beretta, ma oggi circondata dai Floating Piers e dal loro incantevole colore. Un giallo che ricorda quello dei capelli della scomparsa Jeanne-Claude, compagna di vita di Christo, e che è un po’ il marchio di fabbrica della coppia di artisti. Un giallo che contrasta violentemente con il blu intenso e il verde scuro dei boschi che accarezzano le montagne circostanti, e che rende ben visibili da lontano i Floating Piers, che possono essere osservati anche dai sentieri che conducono a Sulzano fra gli ulivi e i boschi, ma anche dalla alture di Monte Isola e dai monti su entrambe le sponde del lago.
Prospettive sempre diverse ma affascinanti, che rendono bene la grandiosità dell’opera che può essere altrimenti apprezzata solo camminandovi sopra e constatando di prima persona quanto sia immensa.


“Come tutti i nostri progetti, The Floating Piers sono gratuiti e accessibili ventiquattr’ore al giorno, tempo permettendo,” ha affermato Christo. “Non ci sono inaugurazioni, aperture, prenotazioni, proprietari. I The Floating Piers sono un’estensione della strada e appartengono a tutti”. Mentre tutti sanno che una passerella flottante lunga tre chilometri è stata posata negli scorsi mesi per permettere di attraversare a piedi le acque del lago d’Iseo da Sulzano a Monte Isola, da Monte Isola all’Isola di San Paolo, forse non tutti sanno che il tessuto giallo oro ricopre anche ben due chilometri e mezzo di strade pedonali a Sulzano e a Peschiera Maraglio. La passerella è larga sedici metri e alta circa trentacinque centimetri, i lati sono delicatamente digradanti verso l’acqua, per imitare le normali coste e spiagge esistenti. Cristo ha affermato che “Coloro che sperimenteranno la camminata sui The Floating Piers si sentiranno come se camminassero sull’acqua o forse sulla schiena di una balena. La luce e l’acqua trasformeranno il tessuto giallo brillante in sfumature di rosso e oro per tutti i sedici giorni”. Dati tecnici a parte, l’esperienza è unica e merita la fatica di viverla. Perchè di una fatica si tratta, ma anche l’attesa e il sole, il caldo e lo sforzo per raggiungere i Floating Piers fanno parte di un’esperienza artistica totalizzante. Perchè di uno sforzo si tratta: con i bambini abbiamo percorso un totale di 25 chilometri, partendo da Iseo e tornandovi a piedi, all'andata con una deviazione imprevista, al ritorno facendo la strada pianeggiante a bordo lago che prevedevamo di percorrere anche all'andata. L’imponente organizzazione fa sì che vi siano parcheggi, navette, treni frequentissimi, traghetti da diversi punti del lago, ma la gente è davvero tanta e bisogna armarsi di pazienza e prevedere lunghe code anche solo per prendere una navetta. Per chi ha una buona forma fisica e una buona resistenza agli forzi, consigliata la via pedonale. Che non è la via lacustre, quindi pianeggiante e semplice, ma, provenendo da Iseo, si viene dirottati verso un sentiero agreste, in forte pendenza all’inizio e con una pendenza minore successivamente. Ci si trova a superare gli ulivi, e in qualche punto all’ombra di grandi alberi, ma in generale il percorso è sotto il caldo sole di giugno. Ed è lungo, molto lungo. Ma ne vale la pena, perchè la vista che offre sull’opera di Christo è mozzafiato. La visuale si apre sull’intera opera: da Sulzano a Monte Isola, da Monte Isola all’Isola di San Paolo e ritorno (due tratti separati di Floating Piers). E lo spettacolo che si para agli occhi dei visitatori include anche le differenze cromatiche fra le acque in normale movimento e quelle invece racchiuse fra due rami di galleggianti, quasi ferme e di colore decisamente diverso. Una volta giunti a Sulzano, i visitatori sono accolti dai primi metri di tessuto giallo brillante e si devono mettere in coda per accedere alle “passerelle”. Il primo tratto di queste ultime è breve: fra Sulzano e Monte Isola il braccio di lago non è amplissimo, ma anche qui le passerelle offrono il primo sentore di cammino sulle acque, o sulla schiena della balena: ondeggiano, sebbene non in modo allarmante, e la sensazione è molto diversa da quella che si prova sulle classiche passerelle che portano agli imbarchi di piccoli natanti lacustri.


Dopo un cammino attraverso il centro di Peschiera Marasino, sempre accompagnati dal luminosissimo tessuto giallo,

si arriva ai due rami più lunghi dei Piers: quelli che conducono all’Isola di San Paolo. Sono anche meno affollati del primo, perciò offrono la possibilità di godere maggiormente dell’opera e di sentirsene parte. Il consiglio è quello di percorrerli a piedi nudi: si comprenderà così che in realtà i blocchi di polietilene ad alta densità non sono duri, ma danno la sensazione di qualcosa che si deforma sotto ai piedi, benchè ricoperti di tessuto.



Se la giornata è di pieno sole, si potrà godere del forte contrasto fra il blu del cielo, il verde-blu del lago, il verde dei boschi sui fianchi delle colline e delle infinite sfumature che assume questo tessuto cangiante: dal giallo all’oro, i particolare quando colpito in pieno dal sole, e dall’arancione al rosso, soprattutto nelle zone vicine all’acqua o dove è bagnato.


 L’Isola di San Paolo, circondata dai The Floating Piers, offre un inganno visivo: sembra quasi che i Piers siano posati su terreno e invece la casa e le sue mura posano direttamente nell’acqua e i floating Piers sono solo vicinissimi alle mura: fra esse e i Piers una rete a protezione di cadute accidentali nell’acqua. Dall’Isola minore si può tornare a Monte Isola usando un altro Pier, per poi percorrere il sentiero a bordo lago anch’esso ricoperto di tessuto fino alla passerella che riporta a Sulzano da Monte Isola. Un’esperienza entusiasmante, che porta lo spettatore a calarsi nell’opera d’arte di Christo, a farne parte attiva, a renderla un’opera vivente.


Morale è un'esperienza che vi consiglio, se reggete il caldo. Purtroppo ora la chiusura notturna sarà forse permanente a causa della folla, composta, purtroppo, anche da maleducati, che non solo non riportano con sè la propria spazzatura (che cosa ci vorrà mai a riportarsi via una bottiglia di plastica vuota se si trovano tutti i cestini pieni? invece di inondare il paesino e l'isoletta di pattume?), ma, addirittura, portano con sè sulla passerella i cani lasciandovi i loro ricordini. E lo so che qui mi attirerò gli strali di molti amanti di cani, ma non mi importa: so che siete tutti bravissimi, che tutti raccogliete le loro deiezioni, ma allora perchè dobbiamo fare lo slalom sui marciapiedi per evitarle? e perchè le hanno trovate sui Floating Piers? Tutti tutti bravi? In ogni caso, sarà forse permanente la chiusura notturna: peccato perchè ci sarebbe piaciuto tornare a notte fonda, con la luna quasi piena a illuminare la scena, e attendervi l'alba dondolando sull'acqua.

sabato 22 febbraio 2014

Il Piccolo Principe: il settantesimo anniversario e una mostra davvero speciale

Il Piccolo Principe è un libro che, nonostante tutti ne parlino e decisamente molti dichiarino di amare,  ho conosciuto tardi e non ho amato particolarmente. Ciò non toglie nulla al fascino e al contenuto di questo piccolo libriccino, che, a mio modesto parere, non è un libro per bambini, anche se viene loro spesso proposto.

Anzi, è un libro dai contenuti un po' ostici anche per gli adulti e personalmente  non lo amo in quanto libro per bambini, mentre lo trovo affascinante come adulta.




D'altra parte, Alexandre de Saint-Exupéry non era uno scrittore di libri per l'infanzia, questo fu il suo unico "libro per bambini": alla sua partenza per una missione militare, fece dono a Silvia Hamilton, sua amica, di tutti gli originali, perchè non aveva null'altro di straordinario e prezioso da regalarle.



Ciò che non molti sanno è che il libro fu scritto da Saint-Exupéry settant'anni fa a New York e Long Island, non in patria, anche se lo scrisse comunque in francese, dato che non ebbe mai padronanza della lingua inglese.



L'autore visse per due anni a NY, al culmine della guerra, e nel 1943 gli venne richiesto di fare dei voli di ricognizione in Africa e, nonostante avesse richiesto più volte di esserne esonerato, dato che aveva superato l'età di legge per fare il pilota in zone di guerra (aveva allora 43 anni), partì. Poco prima di partire apparve alla porta dell'amica Silvia Hamilton e lasciò, con le parole menzionate sopra, un sacchetto stropicciato di carta sul suo tavolino d'ingresso: conteneva i manoscritti originali de Il Piccolo Principe, con gli acquerelli originali dell'autore, con tanto di macchie di caffè e bruciature.





La Morgan Library di New York acquistò gli originali nel 1968.



Nel 1944 Saint-Exupéry parti in missione di ricognizione e non fece ritorno: aveva 44 anni, e ciò ha aggiunto un qualcosa di magico, di bizzarro al fatto che il Piccolo Principe vide tramontare esattamente  44 volte il sole.



Il Piccolo Principe fu pubblicato in Francia solamente due anni dopo la sua morte. In realtà anche negli USA all'inizio ebbe un successo modesto, rimase nella lista dei best-seller del New York Times per sole due settimane e, se confrontato con i suoi diari, che vi rimasero 20 settimane, fu davvero pochino.  Ciò fu forse dovuto al fatto che si trovava in una specie di limbo (e sì, è la mia opinone, ma non soltanto la mia) fra i libri per bambini e la fiaba filosofica per adulti. Ma forse è proprio qui che si trova poi la magia del libro. Oggi è tradotta in 260 lingue e dialetti del mondo e viene costantemente ristampato.



In occasione del 70mo anniversario dalla prima pubblicazione, la Morgan Library ha organizzato una mostra che esplora il processo creativo di Saint-Exupéry attraverso i manoscritti originali e gli acquerelli, gli stessi regalati a Silvia Hamilton nel 1943, includendo  gli schizzi, gli scritti e gli acquerelli che egli escluse dalla pubblicazione finale.  Tenuto conto che il manoscritto originale conta circa 30.000 parole, ovvero il doppio di quelle del libro pubblicato, è chiaro che il processo creativo e di selezione finale fu complesso. 



La Mostra The Little Prince: A New York Story include le ultime fotografie scattate a Saint-Exupéry  dal fotografo della famosa rivista LIFE, John Phillips, che riferisce anche quella che si ritiene essere la sola testimonianza di ciò che raccontò l'autore in merito all'ispirazione che gli fece scrivere il libro:



"Quando chiesi a Saint-Ex come era entrato nella sua vita il Piccolo Principe, egli mi disse che un giorno, guardando quello che credeva essere un foglio bianco, vide una piccola figura che sembrava quella di un bambino. "Gli chiesi chi fosse", disse Saint-Ex, "Sono il Piccolo Principe", fu la risposta.



Uno dei materiali più belli in esposizione, a parte gli originali ovviamente,  è una recensione del libro del 1943 scritta da P.L. Travers per la New York Herald Tribune, in cui il giornalista, con grande sensibilità, rendeva esplicito  il motivo per cui il libro esercita un'attrazione profonda e senza tempo:



"I bambini vedono in modo naturale con il cuore, l'essenziale per loro è chiaramente visibile. La piccola volpe li commuove per il semplice fatto di essere una volpe. Non avranno bisogno del suo segreto fino a quando lo avranno dimenticato e dovranno ritrovarlo. Penso perciò che il Piccolo Principe splenderà su di loro con un bagliore laterale. Li colpirà in qualche luogo che non è la mente e brillerà in quel luogo finchè arriverà il momento per loro di comprenderlo e capirlo con la mente.  Anche se, scrivendo ciò.mi rendo conto di stare tirando una linea fra adulti e bambini....e non credo che quella linea esista. "



Finalmente qualcuno che pensa quel che penso io, cioè che non è un vero libro per bambini e che non esiste o non dovrebbe esistere una linea di demarcazione fra il mondo adulto e quello dell'infanzia.



Esiste anche, in occasione del 70mo, una edizione del 70mo anniversario che include tutti i disegni originali a colori di Saint-Exupéry, per ora in inglese e francese, con CD audio allegato: The Little Prince 70th Anniversary Gift Set




La favolosa mostra della Morgan Library durerà fino al 27 Aprile 2014, se avete la fortuna di capitare a NY da qui ad allora e siete degli appassionati, fateci un salto!

Feltrinelli, in Italia, dedica all'anniversario una serie di eventi in diverse città: 
Eventi dedicati al Piccolo Principe:
Presentazioni "Festeggia i 70 anni del Piccolo Principe con Grom" nei punti vendita laFeltrinelli di:
 

  • Milano piazza Piemonte - martedì 21 maggio ore 18.00
  • Firenze Via de’ Cerretani, 30/32 - venerdì 24 maggio ore 18.00
  • Mestre Piazza XXVII ottobre 1 - lunedì 27 maggio ore 18.00
  • Genova Via Ceccardi, 16r - mercoledì 29 maggio ore 18.00

A Torino in occasione del Salone del Libro:
 

  • Sabato 18 maggio: incontro "Buon compleanno Piccolo Principe! Buon compleanno Grom!" con Oliver d’Agay, Guido Martinetti, Federico Grom Arena Bookstock ore 15.30 - 16.30

lunedì 7 ottobre 2013

Esposizioni d'arte /Art Exhibits

Giovedì scorso, nel tardo pomeriggio, siamo stati a Lugano per il vernissage della mostra di dipinti di Cristina Salvador presso la Galleria Deeparte.

E' stato un evento molto piacevole, accompagnato da una degustazione di vini (italiani) e di pani tipici, nel pieno centro storico di Lugano, sulla scalinata che porta alla Cattedrale. Una location perfetta per una serata e una mostra artistica: la zona più artistica della città.
I quadri, di grandi dimensioni e di grande effetto, sono esposti fino al 2 Novembre

Cristina spesso va oltre i canoni convenzionali, creando pezzi molto particolari: i soggetti che animano la mostra ricreano il suo mondo e la sua poetica personali, abitati da figure parziali di donne e alberi, di fiori e radici, di cieli immensi, di sogno. I dipinti  compaiono spesso su tele di grandi o grandissime dimensioni, e sono integrate da materiali naturali (quadrifogli da lei raccolti, per esempio) o umani (frammenti di mosaico, brillantini, per esempio).

Ogni quadro è anche accompagnato da un estratto di uno dei suoi libri di poesie, dato che è anche poetessa con all'attivo due libri pubblicati.

La galleria è piccola e i quadri coloratissimi, quindi una visita piacevole e non stancante anche in compagnia di bimbi, che possono comuque giocare senza pericoli lungo la scalinata verso la Cattedrale, se la visita dovesse protrarsi oltre la loro capacità di attenzione.


Last Thursday, in the late afternoon, we went to a vernissage of a Exhibit of patinings by Cristina Salvador in Lugano, at the Deeparte Gallery.
It was a very pleasant event, accompanied by a tasting of Italian wines and special breads, in the very center of Lugano, in its historical part, on the steps leading to the old Cathedral.
The paintings, large in dimensions and effect, will remain on show until November 2.
Cristina quite often goes beyond the conventional canons, creating very special unique pieces: the subjects animating the show recreate her personal world and poetics, inhabitet by partial women's figures and trees, by flowers and roots, by unending skies, by dreams.
The paintings often appear on large dimensions or huge canvases, and are integrated with natural materials (cloves picked by herself, e.g.) or man-made (fragments of mosaics, glitters, e.g.).

Every painting is accompanied by an excerpt of one of her poetry books, being Cristina Salvador a poet with two published books.

The gallery is small and the paintings very colourful, therefore the visit is pleasant also accompanied by children, who can, by the way, play without dangers along the steps leading to the cathedral, in case the visit should last longer than their attention span capabilities.